Gruppo protezione Civile "Federica Moscardelli"


Federica Moscardelli è nata il 19 aprile 1984 ed è deceduta il 6 aprile 2009, sotto le macerie del terribile Terremoto che colpì la città de L’Aquila. Federica era una studentessa iscritta al corso di Laurea specialistica in Medicina e Chirurgia all’Università de L’Aquila, ma quando il fine settimana tornava a Montorio, si occupava di catechismo, cantava nel coro parrocchiale, era responsabile del gruppo tend, e soprattutto, era una attivissima ed amatissima volontaria della Croce Bianca di Montorio al Vomano. Da quel tragico evento, lei ha lasciato un vuoto terribile che è stato impossibile da colmare, ma ha lasciato anche, in tutti quelli che l’hanno conosciuta, il ricordo del suo sorriso e dell’amore per la vita la sua speciale capacità di dare una mano a tutti, di dare forza e coraggio a chi ne avesse bisogno. Alla sua memoria è stato dato il nome al gruppo di Protezione Civile, che è parte integrante della sede di Montorio della Croce Bianca. Inoltre, a lei è dedicato un monumento posto nel cortile della sede.



Cosa facciamo


E' fondamentale che la protezione civile sia una "macchina di intervento in emergenza" bene organizzata, in grado di ridurre al minimo il tempo che intercorre tra un evento calamitoso e i primi soccorsi e interventi. A questo obiettivo sono dedicati il lavoro di definizione dei "piani di emergenza", elaborati a livello nazionale e locale; il continuo aggiornamento delle procedure di emergenza, indispensabili per far sì che al momento del bisogno tutti coloro che devono intervenire sappiano già cosa fare e come farlo; lo scambio regolare di informazioni tra tutti i livelli del sistema; le attività di formazione del personale e le esercitazioni di tutte le componenti che intervengono nella protezione civile; il potenziamento dei mezzi tecnici a disposizione. Grazie a questo lavoro sistematico e all'iniziativa delle strutture decentrate soprattutto a livello regionale, negli ultimi anni gli interventi di protezione civile hanno visto i tempi medi del soccorso ridursi notevolmente, fino a pochi minuti. Altrettanto è considerevolmente aumentata la conoscenza delle azioni necessarie e la capacità di operare per ridurre il danno alle persone, alle cose, al patrimonio artistico e ai beni culturali e i tempi per il ripristino delle normali condizioni di vita nelle zone disastrate.

Previsione
La storia delle grandi catastrofi che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi decenni ci ha insegnato che, per proteggere con efficacia la vita dei cittadini e il patrimonio delle comunità, non bisogna puntare solo su soccorsi tempestivi, ma occorre dedicare energie e risorse importanti alla previsione e alla prevenzione delle calamità. L'attività di previsione è assicurata da un sistema di reti che collegano la protezione civile ai centri nazionali di ricerca scientifica, a sistemi tecnologici di raccolta ed elaborazione di informazioni sui diversi tipi di rischio e sulle condizioni che possono aumentare le probabilità di pericolo per la collettività, a centri di elaborazione delle informazioni in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si verifichino eventi catastrofici. Questo insieme di attività tecnico-scientifiche, che vanno dalla raccolta di informazioni sul territorio alla loro elaborazione, fino alla interpretazione dei dati raccolti in base a modelli e simulazioni di eventi, mette in condizione la protezione civile, ai vari livelli, di valutare le situazioni di possibile rischio, allertare il sistema di intervento con il massimo anticipo utile, ma anche di fornire alle autorità preposte gli elementi necessari a prendere decisioni ragionate e tempestive. E' questo il lavoro continuo, poco visibile, ma di fondamentale importanza, dei nuclei di previsione della protezione civile, che si sta trasformando in una rete di "Centri funzionali" organizzati a livello nazionale e regionale. Attraverso la conoscenza precisa e puntuale del territorio e dei possibili fenomeni all'origine delle catastrofi, l'utilizzo di reti tecnologicamente avanzati, come le reti radar per le previsioni metereologiche, la rete nazionale dei sismografi, i sofisticati sistemi di monitoraggio dell'attività dei vulcani, e delle migliori competenze scientifiche e professionali disponibili mette la protezione civile italiana in condizione di intervenire con allerta tempestivi e, quando possibile, con misure preventive come l'evacuazione delle aree a rischio. Grazie proprio all'evacuazione preventiva delle aree a rischio la recente inondazione che ha colpito il Piemonte nel 2002 non ha provocato vittime, mentre un analogo evento verificatosi solo due anni prima si era rivelato fatale per decine di persone.

Prevenzione
La conoscenza del territorio e delle soglie di pericolo per i vari rischi costituisce la base, oltre che per le attività di previsione necessarie a rendere efficiente la macchina dei soccorsi, anche per individuare gli indirizzi e le linee dei vari tipi di interventi di prevenzione possibili. E' compito della protezione civile individuare e segnalare alle autorità competenti gli interventi utili a ridurre entro soglie accettabili la probabilità che si verifichino eventi disastrosi, o almeno a limitare il possibile danno. In questo contesto si inquadra la recente revisione della carta sismica nazionale. Come è noto, la scienza non è in grado, ad oggi, di prevedere il verificarsi di un terremoto. Tuttavia sono disponibili informazioni rigorose e scientificamente verificate sulla diversa esposizione al rischio sismico delle aree del territorio nazionale, che permettono di individuare in quali comuni sia necessario ricorrere a tecniche edilizie idonee ad aumentare la resistenza dei manufatti in caso di terremoto, in modo da ridurre i crolli e soprattutto il numero delle possibili vittime. Oltre al rischio sismico, il sistema della protezione civile tiene sotto controllo in modo sempre più accurato i vari tipi di rischi idrogeologici, la mappa delle aree più soggette agli incendi boschivi, le aree dove più probabili sono i rischi legati all'alto livello di industrializzazione.

Le relazioni internazionali
Il Dipartimento opera anche a livello internazionale, in accordo con le analoghe istituzioni di altri Paesi e nel quadro delle istituzioni internazionali a livello mondiale e soprattutto europeo, e partecipa ad interventi di protezione civile all'estero, che rappresentano un segno della solidarietà internazionale dell'Italia e della capacità operativa, tecnica ed umana degli uomini della nostra protezione civile. Il Dipartimento punta molto, oggi, anche allo sviluppo di relazioni internazionali a livello tecnico-scientifico, nella consapevolezza che spesso i rischi ambientali sono legati a fattori che vanno ben al di là dei confini nazionali. A livello di prevenzione a medio e lungo termine, soprattutto in campo idrogeologico, si è dimostrato utile lo sviluppo internazionale delle reti di informazione e monitoraggio, lo scambio di informazioni e di metodologie, l'avvio di relazioni permanenti con centri di ricerca, specialisti e strutture organizzate dalla protezione civile degli altri Paesi europei. Questa nascente cooperazione internazionale permette all'Italia di verificare e valutare metodi, procedure, tecniche operative e modelli organizzativi alla luce delle esperienze compiute in altri Paesi, ma anche di esportare fuori dei confini nazionali il know how del nostro sistema di protezione civile, con particolare riguardo all'esperienza del volontariato italiano, unica nel panorama europeo per estensione e organizzazione.



Antincendio Boschivo
Il fuoco è un fenomeno termico e luminoso dovuto alla combustione di varie sostanze, rapidissima reazione di ossidazione con liberazione di energia e consumo di ossigeno. Perché il fuoco abbia vita sono necessari tre elementi : combustibile, ossigeno (comburente) e calore sufficiente. Eliminando o riducendo drasticamente uno di questi elementi si può ottenere l’estinzione del fuoco. La combustione dei materiali vegetali ( cellulosa, lignina, resine, oli, ecc.) Può essere divisa in tre fasi: preriscaldamento, combustione gassosa e combustione solida. Preriscaldamento: il calore viene assorbito dal combustibile che si essicca espellendo acqua sotto forma di vapore. Combustione gassosa: superati i 200 °C (la temperatura di innesco del fuoco può essere anche più bassa) dal materiale vegetale cominciano a liberarsi gas combustibili ( ossido di carbonio, metano, metanolo, idrogeno, formaldeide, acido formico, acido acetico, ecc.) Che, a contatto con l’ossigeno, bruciano producendo fiamme con una reazione che cede calore. Durante questa fase, il processo di combustione produce anidride carbonica, ancora vapore acqueo, ossido di carbonio, ossidi di azoto, gas o sostanze volatili incombuste. Il calore emesso può innalzare la temperatura fino ai 400 °C. Combustione solida: esaurita l’emissione e la combustione dei gas, brucia il carbone rimasto e le braci incandescenti raggiungono temperature superiori agli 800 °C, senza più fiamme. Quando per lo spegnimento si usa l’acqua si interviene soprattutto sull’elemento calore, con il raffreddamento del combustibile fino all’interruzione della combustione. L’acqua infatti, ha una grandissima capacità di assorbire calore e per farla evaporare servono ben 539 calorie per ogni grammo, più 70 - 80 cal/g per innalzarne la temperatura da quella ambientale a quella di ebollizione. L’acqua assorbe meglio il calore se viene nebulizzata, inoltre agisce anche sul comburente (ossigeno) sostituendolo con il vapore acqueo (soffocamento: effetto secondario dell’acqua). Quando si getta sabbia o terra sul fuoco si agisce sul comburente sottraendolo alla combustione. Questa, assieme all’effetto secondario dell’acqua, è l’unica vera azione di soffocamento che si applica durante lo spegnimento di un incendio boschivo. Quando si batte sulle fiamme con un flabello o quando si usa il potente getto d’aria di un soffiatore a zaino, si agisce sul combustibile gassoso allontanandolo violentemente dal punto di origine, interrompendo la combustione, mentre si rivela pericolosamente controproducente sulla terza fase (sulle braci). Anche un violento getto d’acqua ha questa azione sul combustibile gassoso; è questo uno dei motivi per cui nello spegnimento degli incendi boschivi si preferiscono pompe capaci di elevate pressioni e basse portate. Per semplicità, si continuerà a parlare di azione di soffocamento, anche nel caso dell’azione sul combustibile gassoso. Sul combustibile solido, naturalmente, si può agire preventivamente asportandolo prima che bruci, con decespugliatori, motoseghe, roncole, ecc. In ogni caso è sempre meglio agire precedentemente o durante la prima e la seconda fase della combustione; è difficile ed assolutamente inefficiente l’azione sulla terza fase, per l’enorme calore emanato. Le caratteristiche principali che facilitano l’accensione e la combustione dei materiali vegetali sono: basso contenuto di acqua, contenuto in oli e resine, alto rapporto superficie/volume, porosità, elevata disponibilità di ossigeno (posizione ventilata) elevate temperature, posizioni che favoriscono il preriscaldamento per convenzione. La propagazione delle fiamme in un bosco, oltre che dalle precedenti caratteristiche è facilitata dalla continuità orizzontale e verticale (dal suolo alle chiome) della vegetazione, dal vento, dalla pendenza del terreno che esalta la fase del preriscaldamento (il calore viene portato in alto per convenzione).

In base al tipo di combustibile interessato dal fuoco si distinguono quattro tipi di incendio:

a) INCENDI SOTTERRANEI
Gli incendi sotterranei bruciano lentamente le sostanze vegetali sotto il livello del suolo: il muschio, la torba, l’humus indecomposto. In questo caso la combustione è lenta, ma si spegne con difficoltà. Nei nostri ambienti è possibile quando bruciano le ceppaie creando pericoli per la ripresa e la diffusione del fuoco.

b) INCENDI DI SUPERFICIE
Gli incendi di superficie sono i più frequenti: bruciano la vegetazione al livello del suolo. Quasi tutti gli incendi cominciano in questo modo. Sono gli incendi più comuni nei nostri boschi, bruciano la lettiera, l’erba, le foglie e i rami morti (vegetazione di superficie). Il fuoco è rapido ma non intenso.

c) INCENDI DI CHIOMA
Gli incendi di chioma ( o di corona), sono preoccupanti per il forte sviluppo di calore e la possibilità del salto di faville a distanza. Sono gli incendi più pericolosi perché le fiamme si estendono alle chiome degli alberi. Interessano in particolare i rimboschimenti di conifere allo stato di perticaia ad elevata densità. L’unico mezzo di difesa è la soppressione del combustibile effettuando una barriera naturale o artificiale o mettendo in pratica la tecnica del controfuoco. 

d) INCENDI DI BARRIERA
Si ha un incendio di barriera quando l’incendio di chioma è accompagnato da un incendio di superficie. É estremamente intenso e distruttivo. I combustibili possono essere distinti in: Leggeri: Erba, foglie secche, rami di piccole dimensioni, rami morti di diametro inferiore a 5 cm; sono molto infiammabili e bruciano rapidamente. Pesanti: Tronchi, rami di grosse dimensioni, ceppaie secche che bruciano a lungo e ad alte temperature. Fattore importante per i combustibili è il contenuto di acqua, infatti quando essa è superiore al 25% l’accensione è possibile solo con un elevato apporto esterno di calorie.

METODI DI SPEGNIMENTO
Affinché l’azione di spegnimento sia efficace, economica e tempestiva è importante prevedere il comportamento dell’incendio, ossia la sua intensità, lo sviluppo del fuoco nello spazio e nel tempo. Base fondamentale è la conoscenza del territorio, ciò permette la lotta attiva attraverso l’avvistamento e lo spegnimento. La tecnica di spegnimento si basa sul principio di rompere almeno uno dei lati del "triangolo del fuoco" mediante: - eliminazione del combustibile; - eliminazione dell’aria ; - raffreddamento della combustione. L’intervento si basa su due metodi: 

1) L’ATTACCO DIRETTO
che consiste nel battere sulle fiamme con frasche, battifuoco o frustini; coprire con terra le fiamme; irrorare con acqua o prodotti chimici (ritardanti); uso del soffiatore.

2) L’ATTACCO INDIRETTO
Si tratta di realizzare una linea di difesa davanti all’incendio eliminando il combustibile con il taglio e l’asportazione. Negli incendi di superficie se il fuoco non è troppo intenso si cerca di affrontarlo sulla "testa", cioè sul lato in cui avanza più rapidamente si esegue l’attacco diretto battendo i combustibili, raccogliendo terra e gettandola sul fuoco. - Se le fiamme superano mt 1,00 - 1,20 si devono usare acqua e pompe.  Se l’incendio ha una dimensione ed una propagazione tale da permetterlo conviene attaccare direttamente non alla "testa" (combustione rapida ed intensa), ma ai "fianchi" dove le fiamme sono più basse, in tal modo si stringe l’incendio convergendo su ambo i lati fino alla "testa".  Negli incendi di chioma ( trasporto di faville e tizzoni a distanza, accensione di focolai secondari) di regola si esegue l’attacco indiretto costruendo una linea di difesa a distanza conveniente.

Rischio Idrogeologico

Fenomeni
L’idrogeologia, a cui il termine “idrogeologico” si riferisce, è quella disciplina delle scienze geologiche che studia le acque sotterranee, anche in rapporto alle acque superficiali. Nell’accezione comune, i termini dissesto idrogeologico e rischio idrogeologico vengono invece usati per definire i fenomeni e i danni reali o potenziali causati dalle acque in generale, siano esse superficiali (in forma liquida o solida) o sotterranee. Le manifestazioni più tipiche di fenomeni idrogeologici sono costituite dalle frane e dalle alluvioni, seguite dalle erosioni costiere, subsidenze e valanghe. Inoltre, negli ultimi decenni, sono stati registrati numerosi episodi di siccità che hanno determinato diffuse condizioni di emergenza idrica sul territorio.

Alluvioni
Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e sono causate da un corso d’acqua che, arricchitosi con una portata superiore a quella prevista, rompe le arginature oppure tracima sopra di esse, invadendo la zona circostante ed arrecando danni ad edifici, insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole, etc. Le alluvioni più importanti che hanno interessato l’Italia e che hanno comportato un pesante bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel Polesine (1951), dell’Arno (1966) e del Po nel Nord Italia (1994 e 2000). I fenomeni alluvionali censiti nella Banca dati del Progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane), realizzata dal GNDCI-CNR per conto del Dipartimento, sono state nel periodo tra il 1918 e il 1994 oltre 28.000 ed hanno interessato più di 15.000 località. Inoltre, in un rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dell’Unione delle Province d’Italia del 2003 viene riportato che in Italia le aree a rischio elevato e molto elevato di alluvione sono diverse migliaia e coprono una superficie di 7.774 kmq, pari al 2,6 % della superficie nazionale. Il territorio italiano è interessato, con frequenza sempre maggiore, da alluvioni che avvengono con precipitazioni che possono anche non avere carattere di eccezionalità. Tra le cause dell’aumento della frequenza dei fenomeni vi sono senza dubbio l’elevata antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo l’infiltrazione della pioggia nel terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell’acqua che defluisce verso i fiumi, la mancata pulizia degli stessi e la presenza di detriti o di vegetazione che rende meno agevole l’ordinario deflusso dell’acqua. Molti bacini idrografici, presenti soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da tempi di sviluppo delle piene dell’ordine di qualche ora; per tale motivo, è fondamentale allertare gli organi istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile, al fine di ridurre l’esposizione delle persone agli eventi e limitare i danni al territorio. Una efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali quali, per esempio, argini, invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, etc., sia su interventi non strutturali, ovvero quelli relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti di limitazione della edificabilità, oppure quelli relativi alla gestione delle emergenze, come la predisposizione dei modelli di previsione collegati ad una rete di monitoraggio, la stesura dei piani di emergenza, la realizzazione di un efficiente sistema di coordinamento delle attività previste in tali piani.

Frane
Le frane differiscono tra loro a seconda dei fattori di volta in volta considerati: tipo e cause del movimento, durata e ripetitività del movimento, tipo e proprietà meccaniche del materiale interessato, caratteristiche e preesistenza o meno della superficie di distacco o di scorrimento.Frane molto diffuse sono quelle di crollo: il termine si riferisce ad una massa di terreno o di roccia che si stacca da un versante molto acclive o aggettante e che si muove per caduta libera con rotolamenti e/o rimbalzi. Tipico delle frane di crollo è inoltre il movimento estremamente rapido. Gli scorrimenti sono invece movimenti caratterizzati da deformazione di taglio e spostamento lungo una o più superfici di rottura localizzate a diversa profondità nel terreno. La massa dislocata si muove lungo tale superficie che rappresenta quindi il limite tra la zona che è instabile e quella che invece è stabile. A seconda della morfologia della superficie di separazione, si possono distinguere due tipi di scorrimenti: rotazionali (superficie curva) o traslazionali (superficie piana o leggermente ondulata). Altri tipi di frane sono i colamenti: in questo caso si ha una deformazione continua nello spazio di materiali lapidei e sciolti; il movimento, cioè, non avviene sulla superficie di separazione fra massa in frana e materiale in posto, ma è distribuito in modo continuo anche nel corpo di frana. I colamenti coinvolgono sia materiali rocciosi o detritici, che sciolti, ed in questo caso l’aspetto del corpo di frana è chiaramente quello di un materiale che si è mosso come un fluido. Questi ultimi tipi di colamenti sono molto rapidi (si parla, infatti, anche di colate rapide di fango) come è stato possibile osservare nel caso della tragedia di Sarno del 1998, durante la quale si è avuta la morte di 160 persone. Dal punto di vista di protezione civile, le frane presentano condizioni di pericolosità diverse a seconda della massa e della velocità del corpo di frana: esistono, infatti, dissesti franosi a bassa pericolosità poiché sono caratterizzati da una massa ridotta e da velocità costante e ridotta su lunghi periodi; altri dissesti, invece, presentano una pericolosità più alta poiché aumentano repentinamente di velocità e sono caratterizzati da una massa cospicua. Ai fini della prevenzione, un problema di non semplice risoluzione è quello di definire i precursori e le soglie (intese sia come quantità di pioggia in grado di innescare il movimento franoso che come spostamenti/deformazioni del terreno, superati i quali si potrebbe avere il collasso delle masse instabili). Efficaci difese dalle frane possono essere costituite da interventi non strutturali (norme di salvaguardia sulle aree a rischio, sistemi di monitoraggio e piani di emergenza) e da interventi di tipo strutturale (muri di sostegno, ancoraggi, micropali, iniezioni di cemento, reti paramassi, strati di spritz-beton, etc.).

Logistica da campo
Una delle più conosciute attivita' della protezione civile e' quella del montaggio di campi. I campi possono avere diverse funzioni: abbiamo il campo base ovvero la zona dove in situazione di emergenza si raccolgono tutte le unita' di soccorso; un campo atto al ricovero di popolazione sfollata od un campo di salvataggio in ambiente ostile. Creare un campo non significa montare solo tende ma creare anche latrine, canali di scorrimento dell'acqua, canaline per i cavi elettrici, attivare punti di raccolta cibo e vestiti, riservare zone al parcheggio dei mezzi e delle strutture gestionali. Attrezzature per il volontario stivali antinfortunistici guanti da lavoro borraccia occhiali automezzi (furgoni cassonati autotreni) attrezzature: (tende pneumatiche tende a paleria moduli bagno moduli cucina autocisterna torre faro ghiaia torre radio). La difficolta' principale dell'intervento spesso risulta l’essere attorniati dalla popolazione sfollata ed è difficoltoso trovare delle zone dove creare un campo (anche se in emergenza ogni zona semi-pianeggiante e' considerata fruibile).

Con le competenze tecniche acquisite la Croce Bianca O.n.l.u.s. offre servizi per e con la Colonna Mobile Nazionale per PMA, logistica da campo e segreteria. Agli enti che ne fanno richiesta, offre servizio di Punto Medico Avanzato o Punto di Primo Soccorso.

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